22.10.2014

Angelo Mariano Luisi

São Paulo (SP) 22/5/2015

“Ho 24 anni perche’ il mio compleanno e’ il 29 de febbraio: sono bisestile, per cui faccio dodici mesi in piu’ solo ogni quattro anni”. E se la ride Angelo Mariano Luisi, 95 anni, che e’ padrone della Cantina Capuano di fianco alla Chiesa dell’Achiropita nel quartiere del Bixiga a San Paolo. Lui dice di essere rimasto giovane (effettivamente dimostra 70 anni) con l’aiuto della musica e si intastirdisce  di parlare con tutti il suo dialetto napoletano di Casalbuono: “Io sono un italiano vero e sono sempre allegro a causa delle canzoni che suono col clarinetto e il mandolino” si vanta l’uomo molto simpático, piccolo di statura, con i baffi e i capelli appena brizzolati e con gli occhi sempre vivissimi.

Angelo e’ uno dei “100 NONNI”, il progetto sponsorizzato dalla Fiat che fa parte del Momento Italia-Brasile, la kermesse che ha gia’ portato qui mostre come quella di Roma Imperiale e di Caravaggio. Si tratta di andare in giro per San Paolo e per tutto il Brasile con una Doblo’ adesivata, per gli anni che durera’ il progetto, ad intervistare gli ultimi nonni e le nonne dell’emigrazione italiana per farne alla fine un libro bilíngüe in portoghese e italiano con le migliori storie dei vecchi “oriundi” scovati nel gigante sudamericano.

“L’Achiropita e’ la festa italiana piu’ grande di San Paolo. Cosa si puo’ dire di lei? Si vivono molto intensamente questi giorni. Adesso e’ diventata piu’ brasiliana che italiana. Io qui sono molto devoto della Madonna Achiropita perche’ Francesco Capuano, il primo padrone della Cantina piu’ vecchia di San Paolo, creata nel 1907, che e’ morto nel 1975, era di Rossano Calabro, il paese originario del culto. Lui era un tipico calabrese, un “carcamano” alto, che aveva l’autorita’ di dire lui quello che un cliente doveva mangiare. Ma a quei tempi c’era solo questa cantina in tutta San Paolo. Poi, quasi 50 anni fa, l’ho rilevata io perche’ lui voleva tornare in Itália. L’ho presa con il nome e tutto. Ma io non sono mai diventato un oste: io sono e saro’ sempre un musicista”.

Angelo suona bene il clarinetto e il mandolino. Ha ancora un mandolino di 80 anni fatto da un italiano emigrato come lui a San Paolo: Del Vecchio. “Ma il clarinetto e’ la passione mia. Adesso suono piu’ il mandolino del clarinetto perche’ a stringere l’ancia con la bocca non ho piu’ i denti. Mi stanco. Peccato perche’ il clarinetto mi piace tanto e mi ha salvato la vita”.  E racconta di avere fatto la guerra d’Africa come soldato italiano, quattro anni in Libia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha anche la Croce di Guerra, un’onorificienza italiana, ma e’ stato fatto prigioniero dagli inglesi a El Alamein il 13 di maggio 1943. “Hai visto: la strada principale del Bixiga si chiama 13 de maio in onore alla mia prigionia – ride ancora col suo fare sornione – Da prigioniero ho fatto una vita buona perche’ la musica non ha frontiere e fa’ amici dappertutto. Sono stato con gli inglesi a Tunisi, ad Algeri, all’isola di Malta. Stavo bene. Non guadagnavo niente pero’ ero praticamente libero: dovevo presentarmi alla caserma degli alleati, ma per il resto avevo dei privilegi che nessun mio compagno di prigionia, non musicista, aveva”

Ma afferna di essre doventato devoto fervente della Madonna Achiropita per un fatto che e’ successo quando era quasi alla fine del suo calvario di guerra. “Dovevo essere trasferito in un campo di concentramento in America e invece all’ultimo momento gli ufficiali inglesi hanno deciso di no, non si sa perche’: una decisione che mi ha salvato la vita perche’ gli altri morirono tutti. Un sottomarino tedesco affondo’ con un siluro la nave su cui i miei compagni viaggiavano per New York. Io non c’ero su quella nave perche’ la Madonna mi ha aiutato. Da allora ho suonato sempre in chiesa durante la Festa dell’Achiropita e sono anche autore di molte musiche sacre e profane che si eseguono ancora oggi nel Bixiga”.

Angelo si e’ sposato dopo la guerra con una donna del suo paese e hanno avuto due figlie: una Teresa, che si chiama come sua madre, e l’altra Elisabetta. “Con la musica ho comprato il ristorante – aggiunge – Per dieci anni ho fatto il commerciante nel quartiere di Santana qui a San Paolo. Ho lavorato in una fabbrica di insetticidi. Fecevo il commesso viaggiatore andando in giro con la macchina. Ma non sono mai riuscito a combinare qualcosa d’importante come con la musica’’. E intanto controlla il lavoro tra i tavoli della cantina, con la salciccia appesa e il sugo di pomodori pronto per condire i fusilli fatti a mano.

“Mio zio, che aveva una fazenda, e’ stato quello che mi ha fatto venire in Brasile. Sono arrivato nel porto di Santos il 23 dicembre del 1949. Mi ha pagato il vapore. Mia moglie, con la quale mi ero sposato per puro amore, era gia’ incinta prima di partire dall’Italia. Il comandante della nave non ci voleva far salire visto il suo stato, e allora io gli dissi una bugia: che mia moglie era di sei mesi mentre stava quasi per partorire. La mia prima figlia e’ nata il giorno dopo che siamo sbarcati dopo una traversata durata 13 giorni. Io sono stato con mio zio circa sei mesi, ma poi ho dovuto fare da solo. Lui, che non sapeva ne’ leggere ne’ scrivere, e’ mancato molto tempo fa e la fazenda e’ andata in malora, divisa fra i tre figli che non si potevano vedere. I soldi non fanno bene a nessuno quando non sono sudati. La ricchezza distrugge l’uomo’’.

Nel quartiere di Santana era amico dello scrittore di telenovelas Benedito Ruy Barbosa che gli fece fare una parte in “Terra Nostra”, il famoso serial della Globo ambientato anche in Italia, “Ho anche aiutato a scrivere il copione. Per esempio la storia di un italiano che muore a bordo di una nave per Genova e viene gettato in mare era ispirata alla vicenda vera del padre di mia moglie che tornava in Italia. Mio suocero l’hanno davvero buttato in mare: c’e’ una causa nella giustizia che dura ancora oggi, perche’ non doveva finire nell’oceano essendoci la comodita’ sulla nave italiana delle celle frigorifere” . Sua moglie e’ morta gia’ da sette anni. E mostra con nostalgia delle foto, inquadrate sulle pareti della Cantina Capuano, che ritraggono lui e la sua dolce meta’ con personaggi italiani del mondo dello spettacolo che sono passati di la’, come Peppino di Capri. La contessa Matarazzo frequentava la cantina a mangiare fusilli e capretto, cosi’ come piu’ recentemente, il presidente del “suo” Palmeiras, Tirone.

“La mia preferita e’ la musica napoletana. Le conosco tutte benissimo, dalla prima musica tradizionale delle “Lavandaie di Napoli” che e’ una canzone del 1200”. E attacca col mandolino “Voce e notte’’ che era la musica preferita di sua moglie. “Quando sono triste suono il mandolino e lo suono solo per me. Da giovane suonavo a Salerno con un gruppo. Ma con mio padre andavamo a portare il cinema di paese in paese con un proiettore francesce Patê. Qui in Brasile ho suonato con l’orchestra di Zaccaro, che e’ morto anni fa: ma non ho mai imparato a leggere uno spartito. Tutto a orecchio. Non ho avuto tempo di studiare, prima con la guerra e poi ho lavorato troppo sodo qui a San Paolo. Chissa’… se io avessi studiato oggi sarei un tele divo, un sex simbol”, e se la ride col suo sorriso ammiccante.