Mentre da Rio de Janeiro mi arrampicavo con la Doblo’ dei 100 Nonni per la Serra di Petropolis diretto alla sua casa, che e’ in mezzo alla foresta, alle bromelie e alle orchidee, ascoltavo il samba che Moacyr Luz e Aldir Blanc hanno dedicato proprio a lui, un “menino” italiano di 90 anni, “portelense, bom de tango e coração circense, milongueiro, brasileiro, peixe-espada temperado numa feijoada”. E hanno messo a questa musica il titolo di “Mitos Cariocas” seguito dal soprannome con cui quel “canalha da Italia” e’ famoso a Rio, a Buenos Aires, a Roma o a New York, come uno dei caricaturisti migliori del pianeta: Lan.
“Il disegno e’ apparso nella mia vita come uno scherzo. Mai avrei immaginato che sarei diventato un vignettista di calibro: a Londra nel 1957 mi hanno indicato tra i cinque piu’ bravi del mondo. Evita Peron un giorno venne nella redazione di Noticias Graficas, a Buenos Aires, dove ero impiegato nel mio primo lavoro, e mi disse: Tu tracci linee e curve fantastiche. Sei abile. Mi raccomando, insisti nel realizzare queste illustrazioni: e soprattutto disegna delle donne! Rimasi sorpreso, ma piu’ tardi l’ho presa alla lettera”. A parlare italiano con accento toscano e’ Lanfranco Aldo Riccardo Vaselli, in arte Lan, che ci riceve assieme alla moglie Olivia nella sala della sua villa, tutta arredata con quadri, foto e statue del suo percorso di “chargista” che lo ha portato, nella sua lunga vita, in numerose citta’ del globo terrestre. “Sono nato il 18 febbraio del 1925 a Montevarchi, vicino ad Arezzo, in Toscana. Sono andato via dall’Italia che avevo solo 4 anni, eppure mi ricordo ancora bene del viale centrale del mio paese, del fabbricato dove sono nato che io chiamavo la casa rossa. Siamo venuti in Sudamerica non perche’ eravamo alla fame, come molti emigranti di quegli anni. Mio padre era stato contrattato come primo oboe dall’orchestra sinfonica di San Paolo. Si chiamava Aristide. Era molto fiorentino, elegante, scherzoso, con quell’ironia tipica che ha trasmesso alle mie caricature. Era molto bravo. Arturo Toscanini lo aveva convocato a New York alla sinfonica del Metropolitan. Ma lui non c’era potuto andare a causa di una condizione imposta dal suocero per concedergli la mano di mamma Irma: andare a lavorare nel suo cappellificio, lasciando la musica. Ma dopo qualche anno mia madre, che non si dava bene con la suocera (avevano due caratteracci!), disse al babbo: basta! il primo invito che avrai come oboista andamocene via. E cosi’ nel 1929 siamo partiti per il Brasile. Si sa’: e’ sempre la moglie che comanda in una casa di italiani”.
Irma Cortellini, madre di Lan, era andata ad insegnare italiano alla Dante Alighieri di San Paolo. “Ho ricevuto dei genitori meravigliosi: mia madre parlava un italiano tanto bello da fare invidia. Aveva preso come tata una mulatta giovane di nome Zeze’. Io e mio fratello Beppino eravamo piccoli, biondi, con gli occhi azzurri, e non avevamo mai visto una persona di colore. Ma Zeze’ ci trattava tanto bene, mi difendeva sempre, che ancora adesso me la ricordo con amore. Anche mia madre le voleva bene, le insegnava a cucinare, a ricamare…La segregazione razziale e’ una cosa tanto stupida, ignorante, crudele: si deve anche a Zeze’ questa predilezione per le mulatte nei miei disegni. Mi sono pure sposato con una delle tre Sorelle Marinho, le ballerine di colore che facevano strage negli anni 50/60. Anche quando nel 1931 ci siamo trasferiti a Montevideo, Zeze’ mi mandava sempre per posta le caramelle di cocco fatte in casa”.
Nella capitale dell’Uruguay il padre di Lan era stato invitato a suonare al Teatro Sodre’: ci resto’ tutta la vita come la moglie, tolto un breve intervallo a Buenos Aires per inaugurare l’orchestra della Radio El Mundo. “Nel 1938 ascoltavo alla radio con mio padre l’incontro di box fra l’americano Joe Louis e il tedesco Max Schmeling. Io facevo il tifo per Louis e papa’ per Schmeling. Vinse Louis e lui sorridendo mi disse: ma Franco (mi chiamava cosi’) Louis e’ nero e l’altro e’ bianco come te. Non me ne frega niente, risposi: a me piacciono i neri. Bravo Franco, mi ricordo che di colpo si era fatto serio: vorrei che tu mantenessi sempre queste idee. Mio padre mi ha insegnato un principio, un concetto di buon carattere. Lo adoravo. Lo imitavo in tutto, anche nei difetti perche’ lui fumava molto. Ho cercato persino di suonare il piano, ma la mia mano sinistra e’ pessima. A dire il vero tutta la mia parte sinistra non va bene: nel calcio ero una schiappa con il piede sinistro, e l’occhio sinistro mi ha sempre funzionato male”.
Agli anni felici di Montevideo si deve anche la creazione del nomignolo Lan. “Una volta sono andato alla spiaggia con un amico e abbiamo incominciato a chiacchierare con due ragazze carine. Siamo andati poi a ballare assieme: era l’epoca dei boleri e la mia li conosceva tutti a memoria. Como te llamas? Mi disse nell’orecchio. Lanfranco, risposi, ma puoi chiamarmi Franco. No me gusta: detesto este dictador de España. Me gusta Lan! E me lo disse in una forma tanto dolce che mi ha dato i brividi. Quando ho fatto il mio primo disegno per El Pais di Montevideo, quel mio amico, con cui frequentavo la facolta’ di architettura (lui l’ha finita ma io no), ha preso per scherzo l’inchiostro e ha firmato Lan. Gliene ho dette tante! Ma il gioco era fatto, e pensando a quella ragazzina… Da allora ho firmato sempre Lan. Quel mio primo amore e’ finito perche’ stonava come una disgraziata cantando Cheek to Cheek. Non ho mai sopportato le persone fuori tono: son figlio del mi babbo (toscano)”.
Lan entro’ nel 1948 nella Editorial Haynes di Buenos Aires a fare caricature per 5 riviste e 2 giornali. “Lavoravo come un matto. Non ho mai guadagnato tanti soldi in vita mia. Ero molto conosciuto. Una volta andavo in macchina a Santiago del Cile con un reporter. Siamo arrivati di notte alla frontiera a 3000 metri. Faceva un freddo cane. Entrando nell’ufficio della gendarmeria ho visto che era tutto tappezzato con le mie vignette. Quel giornalista voleva fare lo spiritoso e ha chiesto chi aveva appeso quelle porcherie. Ma il poliziotto si indispetti’: ha detto che erano di Lan, e che ci accomodassimo fuori, alle intemperie, che per noi non avrebbe aperto la frontiera fino al mattino. Allora ci siamo spaventati. Lan soy yo! Lo rassicurai. No lo creo, fu la sua replica incollerita. Cosi’ ho dovuto disegnare per quasi tutta la notte le caricature di quell’ufficiale, di sua moglie, e di tutti i suoi figli per rabbonirlo. Tutto per quello stronzo di reporter!”. E se la ride col fare gioviale che lo contraddistingue. Durante la sua permanenza a Buenos Aires conobbe Che Guevara che un giorno passo’ nella redazione del Mundo Deportivo per spiegargli il viaggio che aveva intenzione di fare in motocicletta. “Ho desiderato andare con lui nella Sierra Maestra di Cuba – ammette Lan, che afferma di essere sempre stato un uomo di sinistra – Dopo la rivoluzione collaboravo con Prensa Latina. Il Che si teneva tutti gli originali che mandavo per posta all’Avana e li appendeva nel suo ufficio”.
Nel settembre 1952, in viaggio per New York, si fermo’ a Rio de Janeiro e rimase fulminato dalla “cidade maravilhosa”, dalla sua natura, dalla vita notturna, dalle sue donne… “Passai da Samuel Wainer che aveva impiegato molti miei colleghi argentini nel suo Ultima Hora. Mi chiesero di fare un disegno per il giornale. Ho fatto la caricatura di un giocatore del Corinthians, Baltazar Cabeçinha de Ouro, che avevo visto il giorno prima nel Maracana’, dove l’amato Uruguay aveva vinto il mondiale del 1950. Mi chiesero immediatamente di rimanere in Brasile, ma il capo dello sport mi voleva mandare a San Paolo. Io accettai, a patto che nel giro di poco mi avessero fatto tornare a Rio”. Quando scrisse a sua madre che era stato assunto a San Paolo la prima cosa che Irma gli disse e’ che sarebbe stato splendido se avesse ritrovato Zeze’. “Nella capitale paulista conobbi una mulatta che si chiamava Remi’ – ricorda Lan che usa la frase “rolou um clima” per coprire le sue conquiste amorose – Veniva tutti i sabati nel mio appartamento e mi portava torte e manicaretti succulenti, e altro che non posso dire. Anonimamente offri’ anche delle magnifiche orchidee a mia madre quando mi venne a trovare. Ma spari’ quando apprese che avevo un’altra relazione nel giornale. Dopo un po’ mi fece avere una foto che ritraeva me e mio fratello, da piccoli, con Zeze’. Rimasi sconvolto: venni a sapere che Remi’ era la figlia di Zeze’, che rividi in un incontro estremamente commovente”. Nel 1957 conobbe Olìvia Marinho che condusse all’altare tre anni dopo. Zeze’, nonostante Lan non avesse scelto sua figlia, fu molto soddisfatta perche’ sua moglie era mulatta come lei.
Ma nel 1964 il golpe militare complico’ le cose. “Da un anno facevo vignette satiriche per il Jornal do Brasil. Il console italiano di allora mi ha avvertito che il Dops era alle mie calcagna e che stava informandosi sul mio passato. Sono scappato a Roma dove ho lavorato per l’Interpress Service di Roberto Savio. Poi, verso la fine del 1965, mi sono rifugiato a Parigi dove anche Samuel Wainer era esiliato e stava preparando un giornale contro i militari. Ma avevo troppa saudade di Rio e del Brasile. Ho fatto un libro illustrato sulle scuole di samba che ha avuto molto successo. Ho venduto a peso d’oro gli originali. Io sono della Portela: amo il colore azzurro come quello della nazionale italiana di calcio. Alla fine del 1966 la dittatura mi ha fatto capire che potevo tornare. Come giornalista non ho mai voluto trasmettere al mio lavoro le mie posizioni politiche. Perche’ essendo un chargista volevo mantenere l’imparzialita’ quando dovevo attaccare qualcuno. Rientrato in Brasile, il ministro Mario Andreazza, figlio di veneti della Serra Gaucha, ha voluto conoscermi. Mi ha detto che nelle caricature criticavo molto il totalitarismo, ma che avevano deciso di rispettarmi perche’ non scagliavo un veleno troppo forte contro i generali. Gli risposi che non ero pagato dal giornale per versare petali di rosa su nessuno, e che in redazione avevamo 11 militari a censurare il Jornal do Brasil. In realta’ i miei padroni mi pagavano per divertirmi: ma questo non l’ho mai detto ne’ agli amministratori del giornale ne’ ai militari!”.
Lan usa acquarelli liquidi Ecoline per i suoi disegni. Le sue illustrazioni sono sempre basate su un ricordo visivo: va nell’archivio del giornale, guarda le foto della “vittima”, e poi fa la vignetta: “Ho una memoria fotografica impressionante: ma mi piace a dismisura idealizzare e dipingere una bella donna in movimento, preferibilmente mulatta. Nel Globo, dove ho lavorato dal 2002, hanno definito la mia maniera di disegnare la traccia carioca. Del giornalismo rimpiango l’epoca della Olivetti e della Remington. Con quel rumore di tasti martellati avevi allegria nell’entrare in una redazione. Il giornale era sempre in festa. Mi prendevano in giro perche’ ero tifoso del Flamengo. Nelson Rodrigues mi accusava di essere un traditore della patria perche’ il suo Fluminense era tricolore, come la bandiera italiana. Si rideva. Oggi tutto questo e’ finito nell’era del computer”. Lan non lavora piu’: le sue macule degli occhi sono troppo stanche e degenerate.
Ma e’ l’unica cosa che ha di affaticato nel suo corpo e nella sua mente. “Sono un toscanaccio con molto orgoglio. Non ho mai preso la cittadinanza brasiliana, anche se mi hanno detto che tutte le cellule del corpo si rinnovano ogni 10 anni e io, quindi, le ho gia’ brasilianizzate almeno sei volte. Sono italiano purissimo. Dire italiano e’ dire di quel popolo straordinario che si e’ sempre adattato a tutte le parti del mondo che e’ stato. A Rio sono carioca, a Buenos Aires porteño,… C’e’ stato un filosofo greco, Eraclito, che ha scritto: ogni luogo e’ il mio luogo perche’ in ogni luogo vedo il cielo. E’ una definizione perfetta per tutti noi emigrati dalla penisola”.
E abbracciando Olivia, una signora ancora bella, musa all’epoca dei suoi disegni piu’ provocanti, conclude: “Con 9 decenni sul groppone sono arrivato finalmente all’eta’ della ragione. Donnaiolo e’ un machista senza saperlo. Facendo una retrospettiva della mia vita, non non ho mai creduto che potessi risvegliare qualche passione nell’altro sesso. Ho peccato, ma per umilta’. Passavo da una fidanzata all’altra. E oggi mi dico: quale diritto ha l’uomo di passare sopra ai sentimenti delle donne che si lasciano per il cammino? Ma pazienza: non si puo’ tornare indietro. Anche in mezzo a cose che ti intristiscono, se la gente sa vedere bene, la vita e’ favolosa. La mia maggiore ricchezza sono mia moglie, gli amici, il passato. Sai, ma anche oggi a me piace infinitamente vivere, con la gioia, l’umore e la sensualita’ sempre presenti in ogni attimo di respiro: tutto come nelle mie piu’ belle caricature di incantevoli mulatte”.