12.07.2016

Edoardo Pollastri

São Paulo (SP) 03/10/2015

Lo chiamano “senatour”, senatore alla piemontese, per differenziarlo dal “senatur” alla lombarda del capo dei separatisti padani Bossi, che a lui non piace tanto. E’ sempre stato presidente di qualcosa, come ora della Camera di Commercio Italo-Brasiliana di San Paolo: c’e’ chi dice che appena nato abbia ricoperto la carica di presidente dei bimbi dell’asilo. In tutti i posti dove e’ vissuto, in Africa, in Europa, in Sudamerica, ha ricevuto numerose e prestigiose onorificenze, che vanno dal recentissimo Cruzeiro do Sul in Brasile, ai titoli di Cavaliere e Commendatore in Italia, per arrivare alle due croci d’oro massiccio concessegli, assieme a diplomi in aramaico, dall’ultimo Imperatore etiopico, Hailé Selassié. Pero’ con i suoi occhi azzurri, l’inseparabile pipa, le bretelle ai calzoni, e il suo sorriso stampato in faccia, e’ la persona piu’ semplice e disponibile del mondo, un “signore” all’antica ma proiettato tuttora e sempre verso il futuro. ”Scherzando con i funzionari della Camera di Commercio ho detto che di tutti loro sono il piu’ giovane: io vivo il presente e l’avvenire. Se ci si ferma a guardare il passato non andiamo piu’ avanti!”.
 
Edoardo Pollastri, 83 anni, se la ride accogliendo i 100 Nonni seduto alla sua scrivania in una sala piena di luce al 16/esimo piano del Palazzo Italia di San Paolo. “Sono nato il 27 agosto 1932 ad Alessandria, non d’Egitto, ma la capitale del Monferrato, dei vini Dolcetto e Barbera, all’inizio della pianura piemontese. Nello stesso anno nasceva, a due isolati di distanza dalla natia Piazza San Rocco, il famoso scrittore e semiologo Umberto Eco. Sarebbe bello dire che da bambini giocavamo assieme, ma io non l’ho mai conosciuto. Mi spiace!”. Anche perche’ aveva appena sei anni quando suo padre, Pasquale, lo fece venire con la mamma in Etiopia dove era stato richiamato come ufficiale dell’esercito quando Mussolini conquisto’ la colonia. Andarono a Quoram, oggi Koram, vicino ad Amba Alagi, sulla strada dall’Asmara, capitale dell’Eritrea, ad Addis Abeba. Li’ suo padre svolgeva molte attivita’ (un’industria di acqua minerale, un ristorante, una macelleria) con piglio coraggioso, perche’ la citta’ era in piena zona della tribu’ dei Galla, molto indipendenti, abili cavaleri, che non avevano mai accettato il dominio degli etiopi: figuriamoci quello italiano. “Mia sorella era nata a Quoram ed era stata la prima bimba italiana nata nel territorio dell’Italico Impero d’Etiopia. Per quello l’hanno chiamata Imperia. Nientepopodimeno che il Duca d’Aosta, famoso per le sue spedizioni in tutto il pianeta, volle venire a  visitarla, intrattenendosi cordialmente con mia madre che si chiamava Carolina”. 
 
Ma presto inizio’ la seconda guerra mondiale che porto’ vicino a Quoram il fronte italiano contro le truppe inglesi. “Fu un’esperienza traumatica. Mio padre e’ stato fatto prigioniero ad Amba Alagi e aveva lasciato soli e indifesi mia madre, mia sorella e me. I soldati britannici ci hanno caricato sul cassone di un camion assieme a polli, farina, frutta. Avevamo solo un sacco bianco che mio papa’ aveva fatto in tempo a darci prima che lo facessero prigioniero. Era pieno di pane appena sfornato. Avevo 9 anni ma ancora mi ricordo di quel viaggio allucinante verso l’Asmara. E’ incominciato a piovere e il cassone non era coperto: tutti fradici abbiamo mangiato pagnotte bagnate. La pioggia si mescolava al mio pianto”.
 
Restarono all’Asmara anche dopo la guerra quando Edoardo andava avanti e indietro dall’Etiopia all’Italia per studiare economia aziendale presso l’Universita’ di Bari. “Nel 1969 sono stato chiamato dalle Suore Comboniane della Nigrizia, un ordine missionario creato nel secolo XIX a Verona, a lavorare alla fondazione dell’Universita’ di Asmara. Da vicerettore chiamai molti professori dalle universita’ italiane a dare lezioni, seminari, conferenze. Da quell’ateneo uscirono parecchi funzionari del governo etiope che parlavano un italiano perfetto”. Imito’ suo padre sposando in quegli anni pure lui una genovese: Rossana De Luigi, figlia di un editore di Roma che fondo’ assieme a Guglielmo Giannini l’”Uomo Qualunque”, un settimanale di rottura che fece molto successo nell’Italia de 1945, appena uscita dal conflitto. All’Asmara c’erano sempre due lingue: il tigrino e l’italiano. I giudici emettevano le sentenze in italiano, anche dopo l’arrivo degli inglesi che avevano instaurato l’amministrazione britannica. L’Eritrea, quando “tutto termino’” nel 1975, subiva l’inflenza italiana da 70 anni.
 
“Oltre ad essere docente di economia, avevo all’Asmara l’unico studio di commercialista specializzato in imprese italiane, riconosciuto dall’Imperatore dell’Etiopia. Tutto andava benone fino a quando scoppio’ la rivolta marxista e Hailé Selassié mori’ il 27 agosto 1975, giorno del mio 43/esimo compleanno. Io andavo a visitare  alcuni miei clienti, che erano dei produttori agricoli della pianura eritrea, con un Fusca, una Volkswagen perfetta per quelle strade sterrate. I ribellli maoisti mi fecero prigioniero nel corso di uno di questi viaggi verso il confine col Sudan. Volevano un riscatto e minacciavano di far perdere le mie tracce portandomi in Sudan. Alla sera tutti sedevano attorno al fuoco e leggevano ad alta voce il libretto rosso di Mao. Erano giovani sui 25 anni. Per fortuna fra i loro capi ho scorto un ragazzo che era stato mio alunno all’Universita di Asmara. Mi riconobbe e da quel momento le cose sono cambiate totalmente. Mi chiamavano tutti professore, e per scusarsi hanno fatto anche una pasta importata dall’Italia: degli spaghetti conditi con lo zucchero! Va bene anche quello. L’importante e’ che sono stato liberato, e senza riscatto. Quel mio allievo poi e’ diventato un pezzo grosso del governo di sinistra etiope: la gentilezza e il rispetto con cui trattavo i miei discepoli mi ha salvato la vita”.
 
Quando c’e’ stato il golpe marxista, l’Italia ha mandato un aereo militare a raccogliere tutti i cittadini italiani. Ma andarono via solo i miei figli. I golpisti, che avevano degli atteggiamenti molto pedanti e rigidi, avevano proibito a tutti i personaggi italiani di rilievo di lasciare il paese. Io ero tra quelli avendo come clienti le maggiori banche italiane. E avrei dovuto rispondere di ogni mia azione di fronte ai servizi di sicurezza del nuovo regime: dovevo scappare in fretta e in qualsiasi modo. Qualche italiano e’ fuggito in auto verso il Sudan o a Djibuti, ma era complicato. Allora ero gia’ presidente di qualcosa: il Lyons Club di Asmara. Mi hanno mandato la convocazione per una importante convention a Nairobi, in Kenya. Allora chiesi un colloquio col colonnello a capo dei servizi segreti, e gli ho spiegato, con tutta la mia disperata abilita’ oratoria, che non andarci sarebbe stato controproducente per un governo debuttante sulla scena internazionale. Quell’ufficiale ha chiamato Addis Abeba e gli hanno risposto di lasciarmi andare. Sono tornato a casa e ho detto a Rossana di fare le valige con quel poco che ci poteva mettere. Abbiamo abbandonato tutto, e non siamo mai piu’ tornati”.
 
Tra i clienti top come commercialista c’era il gruppo milanese Star che dal “doppio brodo” si era inserito alla grande nel settore mondiale dell’alimentazione. Tornato in Italia Pollastri si rivolse a loro per trovare un nuovo lavoro. Erano gli anni del miracolo economico brasiliano con impennate del Pil dell’8-10 per cento annuo. Gli hanno proposto di andare a San Paolo, a Rio de Janeiro, o a Buenos Aires, basta che seguisse le nuove operazioni della ditta in Brasile e Argentina. “Io ho scelto Buenos Aires, ma loro mi hanno mandato a San Paolo con l’osservazione, azzeccata, che il paese del samba era molto piu’ promettente di quello del tango. Tuttavia l’impatto e’ stato forte, anche se per un mese abbiamo vissuto all’Hotel Ca’ D’Oro dove c’era un favoloso bollito alla piemontese che aiutava a non aver nostalgia della mia terra natale. Mia figlia Silvia, che allora aveva 7 anni, ha avuto uno shock notevole con la lingua portoghese che non parlava. E’ rimasta zitta per 60 giorni precisi! Una mattina sono andato in cucina e ho visto la mia bambina che dialogava fluentemente con una donna di servizio: parlava il brasiliano molto meglio di me e di mia moglie!”.
 
Per anni Pollastri si e’ occupato di una enorme fazenda a São Felix do Araguaia nel Mato Grosso, ha comprato un’azienda di frutta cristallizzata e di cioccolato a São Roque (SP), e’ stato presidente della Visconti, la grande fabbrica di panettoni. Poi, un brutto giorno, i consulenti Star negli Stati Uniti hanno fatto nere previsioni sul futuro brasiliano. “Mi sono sforzato di dire di no, che quelle prospezioni erano del tutto sbagliate, che bisognava credere nel Brasile… Ma e’ stato tutto inutile: la Star ha deciso di disfarsi di tutte le sue attivita’ nel paese e cosi’ abbiamo venduto tutto”.
 
Edoardo si guarda in giro nel suo ufficio e il suo sguardo, intristito dal ricordo di quella débâcle, ritorna nuovamente ad un senso di soddisfazione. “Allora mi sono pensionato, tra virgolette, e sono entrato in questa Camera di Commercio dove ho potuto esprimere tutta la mia fiducia in questo paese continentale che mi ospita dalla fine del 1975. Mi sono dedicato interamente e gratuitamente a questa attivita’ che mi regala entusiasmo e appagamento. Dal numero 25 nel ranking mondiale siamo arrivati al secondo posto dietro solo a Marsiglia, piu’ importanti delle camere di New York, Parigi, Francoforte. Per sei anni sono stato presidente di Assocamere Estero, l’associazione di tutte le camere di commercio italiane al mondo. Non era mai successo che un capo fuori dall’Italia fosse nominato presidente”.
 
Nel 2006 e’ stato eletto senatore della repubblica italiana, nella circoscrizione sudamericana, quando si e’ presentata per la prima volta la novita’ del voto agli italiani all’estero. “Malgrado le esperienze vissute nella mia lunga vita mi sono presentato a Roma, a Palazzo Madama, con una certa emozione. E’ stata un’esperienza interessantissima dal punto di vista umano, politico, formativo. Purtroppo quello che manca a molti parlamentari italiani e’ il senso dello Stato, quello di anteporre l’interesse di tutti al proprio. Per uno abituato all’attivita’ economica e imprenditoriale sentire dei discorsi inconcludenti, lunghissimi, e senza contenuto, mi faceva perdere la pazienza. Peccato!”. E Pollastri conclude con un “peana” per il suo Brasile. “Questo grande paese fa si’ che gli italiani, come quelli che parlano il “talian” nel Rio Grande do Sul, restino com’erano un tempo, brava gente, solidali, simpatici, onesti. I nuovi italiani non sono come me, che sono rimasto di vecchi principi. E anche se non me ne resta moltissimo, continuo a guardare al futuro con fede, come un piemontese di altri tempi: che spera sempre nel domani dei suoi figli, Silvia, Paola e Gianluca, dei nipoti Liana, Jessica e Gianfranco, dei pronipoti Helena e Gabriele. E del mio!”