15.09.2014

Giuseppe Faraco

Maués (AM) 13/11/2014

La cittadina di Maués, sperduta nei meandri degli affluenti di destra del Rio Amazonas, a valle del Rio Madeira, sorprende non solo per la bellezza del paesaggio, per l’armonia inaspettata delle sue case antiche, per il guaraná e la sua festa, per il profumo del pau rosa che si percepisce dappertutto. Ma anche i “100 Nonni”, la ricerca patrocinata dalla Fiat dei “vovos” dell’emigrazione italiana in Brasile, hanno avuto la loro dose di sbalordimento per aver trovato in questo angolo remoto dell’Amazzonia un’affollata comunita’ di oriundi italiani, orgogliosi dei loro antenati che all’inizio del ‘900 furono i primi a propagandare il guarana’ nel mondo, e ad ottenere da un albero della foresta quell’essenza fissatrice di profumi che rende indimenticabile lo Chanel N°5 di Marilyn Monroe.

 “Maués e’ una citta’ curiosa perche’ ha una tradizione molto bella e ricca: la colônia italiana era grandíssima”, dichiara Raphael Faraco, 83 anni, gia’ governatore dello stato di Amazonas, dal suo appartamento in un grattacielo di Manaus. Da bambino vendeva golosemas nelle strade della nativa Maués e si faceva aiutare dai clienti a fare i conti perche’ non sapeva contare. Era nipote di quel Giuseppe Faraco, nato nel 1874 ad Acquafredda, sulla costa della Lucania nel sud dell’Italia, che in 20 anni, dal 1902 al 1922, rivoluziono’ l’economia della citta’: Maués divenne una delle piu’ prospere di tutto il Brasile. “A 18 anni era andato ad Obidos, dove c’erano molti italiani – racconta Faraco – Aveva un “regatão”, una barca con cui andava in giro per i fiumi della zona a vendere di tutto. Non c’era inflazione, per cui in quegli anni accumulo’ un piccolo capitale. Nel 1902 venne a Maués per conoscere un altro compaesano di nome Nicolo’ Filizola che iniziava proprio allora un commercio di guaraná. Divenne subito suo socio”.

Dalla capitale del Mato Grosso, Cuiaba’, venivano dei “tropeiros” con carovane di asini, attraverso viaggi di mesi passando per Santarém, a comprare il guarana’ dagli indios che lo confezionavano in “bolotas” (palle) primitive. Era un buon affare perche’ i matogrossensi, come oggi, adoravano quella polvere impregnata di caffeina. E i “satere mawes” erano l’unica tribu’ che estraeva il guarana’ dalla foresta. “Giuseppe ha incominciato a finanziare su larga scala gli agricoltori dell’interno per coltivare quella frutta che sembra un occhio che ti guarda – prosegue Faraco – Lui stesso pianto’ 50 mila piante di guarana’ e in appena due decenni divenne il maggior commerciante del comune e il maggiore produttore di guaraná del mondo. Nel 1922 il Brasile commemorava 100 anni dall’indipendenza e si svolse a Rio de Janeiro una grande esposizione agro-industriale. Giuseppe vi partecipo’ con questo prodotto che era completamene nuovo per l’economia brasiliana. Fu decorato dal governo di allora come “il re del guaraná “ con una pesante medaglia d’oro che ora sta’ con un mio cugino la’ in Maués. Mio nonno e’ stato un uomo straordinario”.

Faceva guaraná in “bastão”, quella verghetta che si gratuggia con la lingua di pirarucu’ (grosso pesce amazzonico), facilitandone il trasporto e la commercializzazione. Incomincio’ a chiamare a Maués molti italiani, i Magaldi, Magnani, Dinelli, Cardelli, Desideri, Perrone, Michiles. Lavoravano con lui e nelle prime fabbriche di pau rosa, un’essenza scoperta dai francesi a Cayenna alla fine dell’800 che sostituiva l’ambra delle balene nella produzione di cosmetici. Aveva gia’ fatto venire in Brasile i suoi tre figli, Biagio (Brás), Francesca Emilia e Giovanni, dopo l’improvvisa morte per infarto in Italia di sua moglie Carmela. “Gli immigranti italiani in Amazzonia normalmente non portavano subito la famiglia: venivano prima da soli – osserva Faraco – A Maués Giuseppe aveva una donna, una figlia di indios, con la quale ebbe altri tre figli: Letícia Vitoria, Maria Dolores e Arthur Angelim. Li ha tutti legittimati, li mando’ ad educare, e vivevamo tutti assieme nella bella casa che aveva costruito, la piu’ grande del municipio. Aveva preso come governante Maria Magaldi, di Acquafredda anche lei, che aveva due figli ma aveva perso il marito Paolo a Belém di febbre gialla. Io sono figlio di Brás che venne dalla Basilicata con 14 anni. Lui resto’ a Maués, ma gli altri due fratelli tornarono in Italia”.

Tornarono col padre dopo la crisi del ’29 che mise in ginocchio tutto il mercato brasiliano. Ando’ ad Acquafredda parecchie volte, ma nel 1939 scoppio’ la seconda guerra mondiale e lui non pote’ piu’ rientrare a Maués. Tutto il suo grande progetto di commercio fu affossato e lui mori’ disperato in Italia, nel 1946, per delle complicazioni gastriche. “Qui in Amazzonia non si ricordano piu’ di lui – si lamenta Faraco che si commuove pensando al nonno – C’e’ solo una stradicciola secondaria a Maués col suo nome. La sua casa/negozio in stile coloniale, sulla piazza della chiesa e davanti al porto, e’ stata descaraterizzata e ora e’ in rovina. Quello e’ diventato una bara”. Ma il seme dell’iniziativa piantato da Giuseppe Faraco resto’ a Maués e diede il suoi frutti.

Ne sanno qualcosa le sorelle Magnani di 85 e 82 anni che si ricordano ammirate delle vicissitudini di loro padre, Enrico, ardito esploratore e ricercatore di nuovi commerci, venuto da Lucca sulle orme di Faraco. Maria Ligia e Maria Antonietta sono entrambe professoresse pensionate che vivono in una casa bellissima d’epoca, con di fronte un albero pieno di fiori rossi, nel centro di Maués. “Gli zii Giuseppe, Rodolfo, Colombo, e nostro padre, erano arrivati dalla Toscana a San Paolo dove avevano iniziato un’attivita’ – raccontano di quegli anni a cavallo della prima guerra mondiale – Giuseppe stava mettendo su una farmacia, Rodolfo torno’ in Itália per combettere in trincea. Allora Enrico e Colombo vennero a Maués per conoscere questo famoso Faraco. Cercavano la gomma naturale lungo fiumi ancora inesplorati, ma suo fratello, dopo essere stati attaccati una volta dagli indios, non volle piu’ restare. Lui invece, che aveva l’avventura nel sangue, rimase”.

Enrico Magnani ha dato un nome a molti fiumi e laghi amazzonici. Viaggiava con un barcone a vapore di 14 metri che spesso ritornava in porto carico di frecce scagliate dagli indios, che allora erano molto bellicosi. Passava tre o quattro mesi in quei fiumi dove non era andato nessun bianco. Una volta passo’ da un fiume all’altro come nel film Fitzcarraldo e trovo’ un oceano di “seringueiras” (albero della gomma). “Ma giorni prima i mateiros (peones abituati ad andare nella foresta) che stavano con lui gli dissero che non volevano continuare – racconta Ferdinando Desideri che lo conosceva bene e che a giugno compira’ 101 anni – Lui allora si e’ seduto su un tronco con in braccio il suo fucile, di fronte a una cascata. E li ha chiamati. Disse loro che avrebbero abbandonato li’, tra le fiere e indios tacciati di cannibalismo, un italiano di carattere. Ma un italiano che si vergognava molto, perche’ se ritornava a mani vuote non li poteva pagare. Allora quei caboclos proseguirono, trovarono molta borracha e tutti ricominciarono ad essere felici nella loro vita. Quella cascata venne da lui battezzata ‘do revolte’ (della rivolta). Era un tipo che non aveva paura di niente”.

Scomparso Faraco si mise in societa’ con Francesco Antonio Magaldi, figlio di quella “terribile” dona Maria che era governante di Giuseppe, e si sposo’ con sua sorella Irene. “Girava per Maués con l’unica bicicletta che c’era in citta’ a quei tempi, di marca inglese – va con la memoria suo nipote Otavinho Magnani – Era un uomo difficile, senza formazione accademica, ma estremamente intelligente’’. A lui si deve l’invenzione delle macchine per trattare il guarana’ che vengono usate ancora oggi nelle fabbriche di Maués. Una che toglie i frutti dai gusci, ua schiacciatrice con pale di legno cumaru’ per evitare che il ferro arruginisca il guaraná, una macina, un affumicatore a carbone nel quale la polvere marron scura trascorre 20 giorni: tutti questi marchingegni sono stati pensati e realizzati dal “velho Enrique, filosofo e gozador” (vecchio Enrico, filosofo che prendeva in giro). Al Museo Goeldi di Belém c’e’ in bella mostra una macchina con il suo nome. “Tutte queste perle di ingegneria meccanica permettono di produrre 250 chili di guarana’ al giorno – e’ il commento di Otavinho – Prima a mano se ne facevano solo 5 chili. Si e’ arrivati a trattare qui a Maués 1000 tonnellate di guarana’ all’anno. Negli anni ‘40 c’erano ben 8 fabbriche. Ora la maggior parte del guarana’ lo vendiamo all’Ambev (gigante delle bibite brasiliano). Abbiamo la concorrenza delle piantagioni di Bahia, piu’ a buon mercato, ma qui il guarana’ ha il 4 o 5% per cento di caffeina, mentre a Bahia non arriva al 2%”.

Zanoni Magaldi, oggi con 78 anni, e’ l’erede di Francesco Antonio (1900-1974) che con Enrico Magnani condivideva la societa’ ma non il piglio. “Lui era conservatore, metodico e preoccupato per tutto – dice il figlio – Dapprima entro’ in societa’ con un ebreo marocchino, Salomão Levi: lavoravano soprattutto col cuoio di jacaré açu (caimano gigante) . Qui ci sono coccodrilli grandi, anche di 7 metri, che hanno ucciso gia’ parecchia gente. Dopo e’ subentrato Magnani e con lui commerciavano in gomma naturale e guarana’. Ma la trovata buona fu quella di costruire una fabbrica di pau rosa”. Prima, per tirare l’essenza, si tagliava tutto l’albero e si trasportava con enormi sacrifici attraverso la foresta, con ruote di legno, fino a un fiume dove con i tronchi si faceva una zattera galleggiante. Il docente dell’Unicamp, Lauro Barata, ha scoperto a meta’ degli anni 2000 che si puo’ estrarre l’essenza dalle foglie e dai rami potati. Per cui il “linalol” sintetico, prodotto dal petrolio negli Stati Uniti, che provoco’ attorno al 1960 il crollo delle esportazioni, ora sta perdendo mercato a favore di quello naturale delle piantagioni amazzoniche. “Il pau rosa e’ ritornato forte negli ultimi anni come fissatore ed anche come aroma – conclude Zanoni, padrone dell’unica fabbrica di Maués e forse di tutto il Brasile, e di colture ecologicamente corrette – Vendiamo l’essenza anche a 130 dollari il chilo negli Stati Uniti e in Europa”.

Questo e’ il fantástico universo italiano di Maués. Ai tre attori fondamentali di questa epopea, Faraco, Magnani e Magaldi, si possono unire anche altri a marcare la presenza degli “oriundi” in questa bellissima landa perduta alla fine del mondo. “Gli italiani di Maués affrontarono il calore, i serpenti, i giaguari, le zanzare, di questo scomodo posto amazzonico, ma non vollero mai lasciarlo – sentenzia alla fine Raphael Faraco – Caso emblemático e’ quello di Francesco Dinelli, per molti anni l’unico stagnaio della citta’. Era di Torino e sua madre aveva allattato lui assieme all’erede al trono d’Italia Vittorio Emanuele III. Questo Savoia, quando divento’ re, gli scrisse una lettera pregandolo di tornare in Italia. Ma lui non volle ritornare piu’: la poesia di questa ordinata aldeia sulla sponda di un lago che si specchia nel cielo infinito lo aveva incantato per sempre”.