Il panettone, quel dolce italiano che ha conquistato negli ultimi vent’anni il gusto natalizio di tutti i brasiliani, e’ nato a Milano nel lontano 1400. C’era allora la tradizione del “ciocco”, il ceppo dell’albero tagliato come un grosso pezzo di legno dal piede della pianta, che ardeva nel caminetto dalla vigília di Natale all’Epifania e sul quale si cuocevano tre pani grandi di grano a significare la trinita’ divina. La leggenda vuole che Ludovico Sforza, detto il Moro, che fu duca di Milano fino al 1499, avesse ordinato ai suoi cuochi un grande banchetto di Natale a cui erano invitati molti nobili da tutta Italia e da fuori. La cena ando’ bene ma il dolce, lasciato troppo in forno, si carbonizzo’. Allora un giovane sguattero di nome Toni (diminutivo lombardo di Antonio), vista la disperazione dello chef, propose una soluzione: “Stamane ho cucinato questo dolce con gli avanzi che ho trovato in dispensa, un po’ di farina, burro, uova, dell’uva passa e una scorza di cedro. Se non c’e’ altro portatelo in tavola”. Il capo cuoco, tutto tremante, si mise dietro la tenda a spiare la reazione degli ospiti che pero’ furono estremamente entusiasti di quel nuovo dolce natalizio. Il duca voleva sapere il nome di quella prelibatezza e il cuoco, vergognoso, rivelo’ che era il “Pan del Toni”, fatto dall’aiutante: da qui il termine panettone. Ma e’ solo a meta’ ‘800 che si aggiugera’ il lievito, ed e’ negli anni venti del secolo scorso, in piena Belle Epoque, che Angelo Motta iniziera’ ad industrializzare il panettone in scatole con sopra disegnato il Duomo di Milano. Motta e Alemagna sono state le prime ditte pioniere a Milano e il signor Alemagna qualche decennio fa, prima di morire, venne a San Paolo a trovare un pasticcere di Torino che aveva lanciato per primo il panettone in Brasile. Si chiamava Bauducco. E Alemagna gli fece i complimenti.
“Ma tutto si deve all’audacia di mio padre Carlo e all’ostinazione di mia madre Margherita che vennero con me a San Paolo da Torino a meta’ del secolo scorso. Non sapevano come avrebbero realizzato il loro progetto di portare il panettone al di la’ dell’oceano, ma contavano su una forza straordinaria, comune a tutti gli immigrati italiani in Brasile: il lavoro” . Queste parole orgogliose e commosse sono di Luigi Bauducco, 82 anni il 24 luglio di quest’anno, intervistato dai “100 Nonni” nella sua mega-fabbrica di panettoni e di biscotti di Extrema, in Minas Gerais. “Sono stato allevato a Torino da una donna di servizio perche’ mia mamma e mio papa’ lavoravano sempre – si ricorda Bauducco, nato figlio unico nel 1932 – Eravamo gente semplice. Mia nonna, Giuseppina Ghiotti, faceva la sarta. Quando la mia giovane tata tornava nelle campagne del Piemonte per le ferie estive, lei ci andava assieme, portandosi dietro la macchina da cucire, anche se pesava molto. Quando arrivava alla cascina, con i ritagli che le erano restati degli abiti che confezionava, faceva dei vestitini multicolori per i fratellini e le sorelline della mia donna di servizio, ed erano tutti felici”.
Ma venne presto la seconda guerra mondiale a disfare questi momenti lieti. “Mio padre non venne chiamato a militare perche’ aveva una lesione alla mano che si era procurato a 14 anni, quando lavorava in una ditta di gazzose, con una bottiglia di vetro che era esplosa. Cosi’ si era impiegato di una torrefazione di caffe’. Durante la guerra ogni giovedi’ andava a Milano perche’ tutti quelli che trafficavano con cereali e con caffe’ si incontravano li’ una volta alla settimana. Il caffe’ scarseggiava e si usava un surrogato d’orzo. Ma a Milano conobbe il panettone, una scoperta che gli doveva venire molto utile finita la guerra”. Sua madre, Margherita Costantino, si occupava della contabilita’ e delle provvigioni nella stessa azienda. “Era piu’ vecchia di mio padre di cinque anni, ma nessuno se ne e’ mai accorto. Aveva un carattere forte, ereditato dai genitori: pensi che quando andava a passeggio col padre e la madre nel parco del Valentino, camminava davanti a loro, e il nonno le diceva di stare dritta con la schiena e la colpiva con una bacchetta di bambu’. Quando era a capo dell’amministrazione, con la nostra azienda gia avviata in Brasile, faceva tremare tutti i suoi dipendenti: trovava sempre un errore nei conti”.
Per evitare i bombardamenti che colpivano soprattutto la Fiat e la stazione ferroviária di Porta Nuova, il giovane Luigi ando’ in collegio a Giaveno e tornava a rivedere i suoi genitori ogni fine settimana con un’ora di treno. Poi, finita la guerra, quando i Bauducco presero un negozio in cui vendevano miscela di caffe’ in bustine e in tazza, si iscrisse a una scuola per geometri che non riusci’ a finire perche’ al terzo anno emigro’ in Brasile.
“L’ultimo datore di lavoro di mio padre si chiamava Valinotti. Aveva un fratello che aveva una fazenda in Brasile e che lo riforniva di caffe’. Questo signore, durante una sua visita a Torino, aveva raccontato a mio padre che in Brasile c’erano molte panetterie che sfornavano artigianalmente pane francese, ma che non avevano macchine per farlo. Allora lui compro’ 40 macchinette per fare il pane da una fabbrica vicino a Milano e gliele mando’ via nave. Dopo si mise ad attendere con ansia una risposta, se le aveva ricevute, se le incominciava a vendere… Quelle macchine gli erano costate quasi tutti i suoi risparmi, ma questa lettera non arrivo’ mai”. Era il 1948 e da quanto successe si vede lo spirito di iniziativa e la vocazione internazionale di Carlo Bauducco, gia’ abituato a girare tutta l’Italia con il suo mix di caffe’ provenienti dal Brasile, dall’Africa, dall’Ecuador e dalla Colombia: decise subito di partire per andare a chiedere personalmente conto di quegli utensili al fazendeiro italiano.
Giunse verso la fine dell’anno nelle campagne di San Paolo, ma la risposta fu che i soldi presi dalla vendita delle macchine se ne erano andati nella piantagione di caffe’ che stava attraversando un periodo di magra. Pero’ restavano ancora 20 macchine da sdoganare nel porto di Santos. Con l’aiuto di un signore che aveva conosciuto sulla nave riusci’ a liberare quei macchinari e ando’ a venderli a San Paolo dove la comunita’ italiana era predominante: a quell’epoca i giornali locali principali erano due, l’Estado de S.Paulo in portoghese, e il Fanfulla in italiano, che vendevano lo stesso numero di copie. “Era Natale. Mio padre si accorse meravigliato che, malgrado ci fossero cosi’ tanti italiani in quella citta’, mancavano totalmente i panettoni. E gli scatto’ qualcosa nel cervello che doveva ispirare la sua vita e quella delle generazioni Bauducco a venire. Torno’ a Torino decisissimo a vendere tutto e a trasferirsi con moglie e figlio in Brasile. E pensare che in Italia avevamo gia’ una posizione abbastanza agiata, un negozio avviato in pieno centro, vicino al tribunale e al municipio, e un’autentica villa con 4000 metri quadri di terreno e con l’adorato gioco da bocce a Realia, a tre chilometri dalla Mole Antonelliana. Non ci fu verso: del resto gli italiani post guerra si sentivano liberati da un giogo di decenni e erano molto piu’ aperti e arditi degli italiani di oggi”.
Riparti’ l’anno dopo per il Brasile in aereo, con un Lancaster che impiegava 36 ore nella trasvolata, portando con se’ un pasticciere di Torino, Armando Poppa (che poi dovra’ aprire la famosa pasticceria Cristallo a San Paolo), e, tenuta gelosamente in una pietanziera con sopra un panno bagnato, la massa madre, il lievito naturale, capostipite di tutti i panettoni passati, presenti e futuri, che ancora oggi si conserva gelosamente, viva, in un “sacro bunker” della fabbrica di Extrema. “Mia madre gli aveva detto che fino a quando mia nonna, che abitava con noi, era in vita non avremmo lasciato Torino. Uno degli ultimi ricordi che ho della mia citta’ e’ quel 4 maggio 1949 quando l’aereo che portava la squadra di calcio del Grande Torino si schianto’ sulla collina del Santuario di Superga. Io avevo una Vespa e volevo andare a vedere, ma mia madre mi dissuase. Ai funerali, a cui aveva partecipato tutta Torino, su ogni camion della Fiat c’era la bara di un giocatore. L’anno dopo, il 1950, mia nonna manco’ ed io e mia madre ci imbarcammo a Genova sul Conte Grande in rotta per quel paese lontano e misterioso di cui ignoravamo tutto. Avevo 18 anni”.
In quegli anni la legislazione brasiliana prevedeva che uno straniero dovesse avere un socio brasiliano per aprire un ditta. Carlo Bauducco ne aveva trovati persino tre nella figura dei tre fratelli Lanci, figli di un italiano che faceva la pasta “3 Abruzzi” nel Bom Retiro. Poco dopo la famiglia Bauducco si trasferi’ in un capannone con sopra una casa na Rua Alfonso Pena, di fianco alla fabbrica dei tre fratelli, e li’, fra mille indugi, venne confezionato il primo panettone sperimentale che si chiamava “Panettone 900 Lanci”, il 900 dalla macchina alimentizia che il padre di Luigi aveva portato dall’Italia.
“Era il 1950: a distanza di 64 anni oggi ne facciamo 65 milioni all’anno e siamo i maggiori produttori mondiali di panettoni, esportando dal Brasile in 50 paesi del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, dall’America Latina all’Angola. Ma e’ stata molto dura, specie in quei primi anni. Si lavorava piu’ che in Italia. A Torino la domenica si riposava e mio padre ne approfittava per giocare alle bocce con i suoi cinque fratelli nella villetta di Realia. Qui, quando due anni dopo avevamo messo su un negozio tutto nostro nella Celso Garcia, nel Brás, perche’ intanto era caduta la legge che imponeva soci brasiliani, lavoravamo anche la domenica che e’ il giorno in cui si comprano i dolci per portarli a casa. L’esperienza con i soci si era rivelata fallimentare e mio padre ad un certo punto voleva ritornare a Torino perche’ non ce la faceva piu’. Ci e’ voluta mia madre a farlo resistere in Brasile. Non e’ stato facile”. Era il 1952 quando nacque per la prima volta il nome “Bauducco” sui panettoni, sui caporali e sui frollini del piccolo negozio all’origine del grande impero della famiglia piemontese.
Carlo, ora con l’aiuto del figlio Luigi, inizio’ a fare propaganda per radio in italiano con la speaker Antonella Flavioli, e aveva mandato prima di Natale un aereo a seminare di volantini pubblicitari la Se’ e il Teatro Municipal. Un tale Briccarello, piemontese anche lui, aveva un cugino artista e realizzo le prime scatole di panettoni con sopra disegnata la Torre di Pisa e il Duomo di Milano. Nel 1956 un altro piemontese di Saluzzo che fabbricava mobili in stile fece comprare ai Bauducco un terreno di 3000 metri quadri a Guarulhos dove e’ sorta la prima fabbrichetta che rimane ancora oggi a produrre wafer.
“Nel 1958 mi sono sposato con Carla, anche lei figlia di pasticceri torinesi della Dulca, marca molto famosa a San Paolo. I suoi genitori erano andati in Abissinia all’epoca della colonia italiana e avevano comprato dei camion con cui facevano il trasporto delle merci dal porto di Massaua ad Addis Abeba, nell’odierna Etiopia. Andavano su una strada stretta e ripida: quando si rompeva un camion, lo buttavano nel burrone con tutto il carico, perche’ non si fermasse la fila degli altri. I Dulca mi hanno detto che ad Addis Abeba c’era gente di colore che parlava piemontese. Dopo la guerra si sono trasferiti qui’ e facevano la tratta Santos-San Paolo: ma quei torpedoni erano troppo vecchi e senza pezzi di ricambio. Si sono ricordati allora che a Torino in origine facevano i pasticceri e cosi’ hanno aperto un negozio di dolciumi. Anche i Dulca ci hanno aiutato molto: siamo stati molto fortunati qui a San Paolo ad incontrare brava gente italiana che c’e’ sempre venuta incontro. In Italia per la prima volta ci sono tornato nel 1960, a distanza di dieci anni dalla mia partenza. Io e Carla abbiamo tre figli, Massimo, Silvana e Carlo Andrea, e una sfilza di nipotini”.
Risale al 1990 la fabbrica nel Bonsucesso e al 2000 il grande impianto di Extrema. Nel 2001 ha acquisito la Visconti ed e’ recente l’accordo con i cioccolati Hersheys per una fabbrica a São Roque. La Bauducco oggi e’ una holding che si chiama Pandurata dal nome di un albero con dei fiori meravigliosi che e’ stato piantato un po’ dappertutto nei suoi stabilimenti. Nel 1997 ad opera di Andrea Martini, proveniente dalla Barilla e dalla Parmalat, oggi presidente della Souza Cruz e membro del consiglio di amministrazione, la Bauducco ha realizzato in Inghilterra l’unificazione della gamma coi colori giallo e rosso che contraddistinguono tutta la linea della marca.
“E’ il grande rilancio che ci ha portato ai livelli di eccellenza del 2014 – conclude Luigi Bauducco, sempre sorridente, vestito semplicemente, con una camicia, dei paltaloni comuni, e di rado con una cravatta, ma sempre impeccabile: un vero signore torinese alla pari dello scomparso Gianni Agnelli della Fiat – Nel 2012 abbiamo festeggiato i nostri 60 anni di storia. Mio padre e mia madre sono morti nella prima meta’ degli anni 70. Adesso io e Carla andiamo spesso al Grand Hotel Sitea quando viaggiamo a Torino. Pero’ a me piace andare a vedere ancora quell’angolo fra via Barbaroux e via Botero dove, vicino ad una bottega genovese che faceva la farinata e il castagnaccio, c’era il nostro negozio di caffe’. Ora al suo posto c’e’ un ristorante, ma mi sembra ancora di sentire la voce di mio padre Carlo chiamare Margherita in quell’atmosfera mágica del Natale. Non per nulla il logo della Bauducco e’ diventato oggi in tutto il Brasile, anche con l’aiuto della TV Globo, un sinonimo della parola famiglia. Ma, mi creda, una bella famiglia”.